Nomi femminili in letteratura

I poeti hanno dedicato particolare cura nella scelta del nome da dare alle donne che hanno cantato nei loro versi: anche qui il nome non è solo un nome, ma, per dirla col termine usato per la poesia provenzale, un senhal, cioè un'indicazione concettualmente precisa e preziosa. Limitiamoci per ora alla letteratura latina e a quella italiana del Trecento.

Catullo chiama la sua puella (ragazza) Lesbia: il suo vero nome fu, quasi certamente, Clodia, sorella di quel Clodio, tribuno della plebe ed acerrimo nemico di Cicerone (che della signora dà un ritratto che è un capolavoro di maldicenza retorica nell'orazione Pro Caelio). Scelse di chiamarla così per il riferimento all'isola di Lesbo, le cui donne erano famose per bellezza e che fu terra della più grande poetessa d'amore di tutti i tempi, Saffo.

Tibullo canta due donne: la prima ha nome Delia (secondo Apuleio si chiamava Plania), nome che rimanda all'isola di Delo, dove nacquero Apollo e Artemide; la seconda la chiama Nemesi (in greco vendetta, alludendo alla vendetta appunto che egli si prende sulla prima): ma anche questo nome forse rimanda indirettamente ad Artemide.

Properzio mette in versi la storia del suo servitium amoris (letteralmente schiavitù d'amore) per Cynthia: nome che rimanda a Cinto, monte sacro ad Apollo nell'isola di Delo ma anche appellativo di Artemide. Come si vede, fortissima è la connessione tra gli ultimi due poeti, ma comune a tutti e tre è il procedimento adottato, scegliere un nome che abbia riferimenti polisemici (ad un luogo, ad un personaggio famoso, ad una divinità).

Passando alla letteratura italiana, la Beatrice di Dante (figura storicamente esistita, Beatrice o Bice Portinari, maritata Bardi, figlia di Folco Portinari e moglie di Simone Bardi) è un bell'esempio di nome parlante: è, difatti, colei che dà la beatitudine, con evidente riferimento alla sua natura di donna-angelo e di cristofora (cioè portatrice di Cristo): la sua lauda, cioè la sua celebrazione in versi è quel bellissimo testo dall'icastico titolo La vita nuova.

Più complessa l'operazione di Petrarca: nel Canzoniere la sua Laura, della cui esistenza storica ancora si dubita, rimanda al lauro, cioè alla pianta sacra ad Apollo, dio dell'ispirazione poetica, ed instaura un fortissimo collegamento (già presente, d'altronde, in Tibullo e Properzio) tra la donna e la gloria poetica (al riguardo si può consultare il saggio di Ugo Dotti, Petrarca e il mito dafneo, del 1966).

Dalla sacralità di Beatrice all'ambiguità di Laura alla piena umanità della Fiammetta di Boccaccio: il nome, simpaticamente riduttivo e vezzeggiativo, allude alla fiamma" d'amore, che però non produce qui una tremenda passione quanto piuttosto una gioiosa e giovanile adesione alla bellezza dell'esistere.

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