Piccoli Armani e Toyota crescono Boom di battesimi "griffati"
La potenza delle marche. Ci fanno scegliere, o rifiutare, un prodotto
piuttosto che un altro, veicolano 'valori' più che beni materiali, si
sostiuiscono all'oggetto in sé, diventando 'anima', 'fantasma' che evoca
emozioni, esperienze, stili di vita. Definiscono, insomma, l'identità. A
tal punto che, dopo aver colonizzato la nostra quotidianità, da quello
che mangiamo a come ci vestiamo a che telefonino usiamo, arrivano ora a
impersonare le nostre stesse esistenze, fin dalla nascita. Sono infatti
sempre più numerosi i genitori che decidono di chiamare i propri figli
con nomi di grandi aziende, firme della moda e della tecnologia
soprattutto. Tanti piccoli Armani, Timberland, Canon crescono nella
patria-culla per eccellenza del logo, gli Stati Uniti.
Cleveland Evans, docente di psicologia alla Nebraska's Bellevue
University e membro dell'American Name Society, studia da 25 anni le
carte dell'anagrafe americana per capire come cambiano i gusti e insieme
a questi la cultura e la società. Se negli anni Ottanta andavano forte i
nomi dei personaggi delle soap opera e delle serie televisive più
popolari (J. R. e Sue Ellen soprattutto, dalla celebre serie Dallas)
oggi a sbancare sulle carte d'identità più fresche sono i nomi di
automobili, vestiti, gadget tecnologici.
Solo a scorrerre i nomi dei nati nel 2000 viene fuori una lista che
somiglia molto a quella della spesa. Ma di lusso: 22 "Infiniti" (per le
bambine), non con l'"y" per alludere all'illimitata grandezza di dio, ma
con la "i", come l'auto per papà ricchi della Nissan; ben 353 Lexus
(Toyota), 55 maschietti Chevy (dall'omonima casa Usa) e 5 femminucce di
nome Celica, ancora la gettonatissima Toyota.
Ma centinaia sono i pargoli griffati da passerella: 298 piccole Armani,
164 più casual Nautica, 6 robuste Timberland. Talvolta, al logo, un più
generico indumento o allusione alla manifattura: 5 bambine Rayon, 6
piccoli Cashmere, sette Denim, 5 Cotton. E ancora 49 maschietti che
speriamo avranno buon occhio che si chiamano Canon, sette Del Monte (con
l'augurio che dicano sì?), ventuno fanciulle con le mamme forse un
tantino vanitose che hanno messo loro nome L'Oreal. Alice Hunter, dalla
Florida, stregata sin dall'adolescenza dalle fragranze di Allure di
Chanel, non ha avuto dubbi quand'è nata sua figlia, appunto Chanel
(incrocierà le altre 268 coetanee omonime?). Ora Alice ne ha aspetta
un'altra di bimba. Futura Dior.
Tutto sommato niente è cambiato. Il nome contiene da sempre
un'aspirazione sociale, traduce un'appartenenza o un'ambizione. Crollate
le ideologie, deboli i santi e gli eroi, le merci sono dèi a portata di
portafogli.
26 dicembre 2003
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di ALESSANDRA RETICO
Articolo tratto da Repubblica
del 26 dicembre 2003
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