Mario o Giovanna? Chiediamolo a Google

«What's in a name?». «Che senso ha un nome? Una rosa avrebbe lo stesso profumo anche se si chiamasse diversamente», si chiede una Giulietta sospirosa, destinata a fine tragica per via di quel nome proibito, Romeo Montecchi, che le si è inciso nel cuore. Ma anche senza scomodare Shakespeare, la scelta di un nome resta un compito difficile. Ben lo sanno i genitori alle prese con una decisione che il proprio erede calzerà per tutta la vita. Così non sorprende che nel 2011 si ricorra a Google anche per risolvere questa incombenza. Il motore di ricerca è prodigo di suggerimenti. Ma aiuta anche a verificare che il nome prescelto non leghi per sempre il figlio al ricordo di un celebre serial killer, una porno star o un maniaco dichiarato.

Google ha aggiunto un po' di pepe al gioco della scelta del nome. Alcuni genitori ne cercano di talmente unici da assicurare al proprio pargolo la prima posizione nelle ricerche online. Altri sono a caccia di nomi abbastanza insoliti da garantire ai figli un futuro fuori dalla massa, ma allo stesso tempo non troppo esotici, perchè il pupo non abbia grane quando gioca ai giardinetti. E c'è chi - pochi - ritiene che un nome debba donare il più sereno anonimato. Anche a costo di rispondere puntualmente insieme ad altri cinque coetanei, ad ogni appello in classe.

Il New York Times rivela che Google ha consentito ai Kaslofsky, tecnologica coppia di San Francisco, di trovare un'alternativa al prescelto «Kalia» (che suggeriva immagini di donne discinte), suggerendo un nome dal suono simile, «Kaleya», ma meno ingombrante: sul motore di ricerca, nel secondo caso, tra i risultati comparivano solo i riferimenti a un illustratore e a una band di metallari spagnoli. Sempre il New York Times ci avverte che da un sondaggio del sito per genitori LilSugar, il 64% dei papà e delle mamme ha «googlato» il nome del proprio bambino prima di prendere la decisione finale. E qualcuno è addirittura arrivato ad affidare la scelta allo stesso nascituro, grazie a una simpatica «app» per iPhone da 99 centesimi di dollaro - «Kick to Pick» - che consentirebbe al feto di reagire con calcetti di approvazione o di sconforto al suono del proprio futuro nome.
Per non dire dei siti come «Babynamer», che consentono di fare ricerche per ordine alfabetico, frequenza, origine, assonanza con nomi stranieri, significati, similitudini.

Un servizio utile, perchè anche il significato del nome può aiutare nella scelta. Difficile non rimanere affascinati da una «Clizia», sapendo che l'origine del nome, Klytia, deriva dall'aggettivo klytós: «molto noto, famoso»: nella mitologia, nome di una donna amata dal dio Apollo. Insomma, nessuno tratterà differentemente la piccola Ingrid perchè il suo nome significa «figlia di un eore», ma alla piccina in questione potrebbe portare un sovrappiù di autostima.
E anche se i vip continuano a dare sfoggio di grande fantasia e di involontario umorismo (dalla figlia di Hugh Grant, che ha un nome cinese traducibile con «Felice Coincidenza» o «Felice nascita non programmata» ed è soprannominata Bamboo; ai nostrani Chanel, Nathan Falco, Balthazar; da Harper Seven, ultima nata di casa Beckham, a Fuchsia, figlia di Sting; da Lourdes, giovane erede di Madonna, a Sunday Rose, la baby-Kidman), consoliamoci al pensiero che col tempo i gusti cambiano. E che, forse, i nativi digitali ringrazieranno per una scelta suggerita dagli algoritmi.

Ultima annotazione, suggerita da un recente spot radiofonico targato ministero del welfare registra lo scambio tra due genitori in dolce attesa. L'una all'altro: «Se nascerà maschio lo chiameremo Leone, così affronterà la vita con coraggio. Se sarà femmina la chiameremo Serena, così avrà una vita felice». Ma proporre «Felice» e «Leonida», come protagonisti, non avrebbe dato una mano alla battaglia per superare i tabù di genere?
28 novembre 2011 - Articolo di Antonella De Gregorio
tratto da Corriere.it

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