Che nome do a mio figlio? Molti si pentono della scelta

Per quanto apparentemente dettata solo dai gusti personali, la scelta del nome da dare a un figlio in realtà è tutt'altro che spontanea. La conferma è arrivata più volte dalla scienza (secondo la New York University e l'Università dell'Indiana le regole sono le stesse del mercato azionario, più un nome trasmette successo e più continuerà ad averne) e non c'è quindi da stupirsi se, una volta registrato il nascituro, qualche genitore si pente. Era davvero così che volevamo chiamarlo? O ci siamo fatti prendere dalla smania di essere originali?

Nel suo blog The Baby Name Wizard, Laura Wattenberg, che da dieci anni studia il modo in cui diamo i nomi ai bambini, affronta il problema del "namer's remorse", il pentimento che assale i genitori dopo aver battezzato il figlio in modo non adatto o "ingombrante". Un fenomeno in aumento, come testimoniano le sempre più numerose email inviate all'autrice da genitori schiacciati dal senso di colpa.

Secondo un sondaggio del sito Your Baby Domain Name, circa l'8% dei genitori si pente di aver scelto un nome troppo comune o troppo originale anche se, spiega la scrittrice Pamela Redmond Satran, creatrice del sito nameberry, il rimorso nasce quasi sempre dai commenti negativi degli altri.

"I genitori - precisa la Redmond Satran - non si rendono conto di quanto rapidamente cambino le tendenze relative ai nomi dei bambini e quindi quello che inizialmente poteva essere originale può poi diventare comunissimo. Quando le mamme arrivano dal pediatra o vanno al parco e si rendono conto di quanti bambini abbiano lo stesso nome del loro, si fanno prendere dal rimorso. Per non parlare di chi si pente perché ha dato retta ai consigli di altri o ha ceduto alle pressioni della famiglia o dei suoceri e ha dato il nome senza convinzione".

Negli Usa i più indecisi si appoggiano a libri come 15,000 Baby Names (Meadowbrook Press, 1997) o The Baby Name Countdown: 140,000 Popular and Unusual Baby Names (Da Capo Press, 2008), in Italia a Tutti i nomi per il mio bebè (Rizzoli, 2010) o Il libro completo dei nomi (De Agostini, 2011).

Una ricerca, quella del 'nome perfetto', dettata dalla consapevolezza di quanto questo influenzerà la vita del figlio. È ad esempio dimostrato che i maschi con un nome femminile spesso manifestano problemi di comportamento, dovuti forse, spiegano dal National Bureau of Economic Research, a tensioni e insicurezze. La Wattenberg precisa inoltre che, nel 1800, appena sei nomi coprivano più di metà della popolazione Usa, negli anni '50 solo 79 e che oggi la cifra è salita a 546. "I nomi diventano sempre più importanti mano a mano che aumenta la loro diversità. Perché ogni scelta rappresenta una segnale", spiega a LiveScience l'autrice di The Baby Name Wizard: A Magical Method for Finding the Perfect Name for Your Baby (Three Rivers Press, 2005).

La pressione spinge dunque i genitori a scegliere un nome il più originale possibile, poco importa se ridicolo o cacofonico. Per spiegare il fenomeno, il ricercatore Barry Schwartz dello Swarthmore College parla di "paradosso della scelta", suggerendo che più scelte abbiamo a disposizione e più ci stressiamo per decidere. E, quando lo facciamo, spesso andiamo incontro al pentimento. "Il segreto - spiega la Wattenberg - è circoscrivere al massimo la lista dei nomi preferiti. Pochi ma buoni. Evitando di perdersi tra centinaia di opzioni fuorvianti".

Secondo l'Istat, in Italia dal 2004 al 2009 i nomi più usati sono stati Francesco e Giulia, scalzata nel 2010 da Sofia. Siamo dunque un Paese che, malgrado qualche rara eccezione, ama la tradizione. Alessandro, Andrea, Lorenzo, Matteo, Mattia: per i maschi trionfano i nomi religiosi, mentre tra le femmine vanno forte Giorgia, Martina, Aurora, Alice, Emma e Anna, legati più al mondo della musica e della letteratura che ai testi sacri.

Dopo che uno studio del 2009 condotto dagli psicologi tedeschi Julia Kube e Astrid Kaiser ha dimostrato che i nomi degli alunni delle elementari influiscono sulla valutazione delle loro capacità da parte degli insegnanti, la questione della scelta dell'appellativo di battesimo è diventata oggetto di dibattito sui media. Sebbene spesso le stigmatizzazioni più grandi scaturiscano dal cognome.

"E' quest'ultimo ad influire maggiormente sul bambino - spiega il pedagogista Daniele Novara, fondatore e direttore del Cpp (Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti) di Piacenza - il cognome stabilisce il nesso psicogenealogico con le radici famigliari e rappresenta un'appartenenza che va al di là del tempo. Il nome che scelgono i genitori ha però sempre una storia particolare e influisce decisamente sull'immaginario che gli stessi hanno del figlio o della figlia. Una volta il problema non esisteva, in quanto mamma e papà davano in automatico il nome degli antenati. Ma, da due-tre generazioni, essi si sono appropriati di questa decisione ed è il loro immaginario ad essere proiettato sui figli".

Ultimamente inoltre, sottolinea l'esperto, va di moda dare al bambino più grande la possibilità di scegliere il nome del nuovo arrivato, con l'idea che questo riduca la gelosia. "Sono scelte che generano un preciso transfert nei confronti del fratellino o della sorellina. Ossia, se un nome è stato scelto dalla madre piuttosto che dal padre, questo assume un preciso significato. Se a sceglierlo è stato il fratellino ne assume un altro".

Altra questione: il nome racconta una storia? E quale? Un lutto? Un segreto famigliare? Un amore mancato? Un'amicizia particolare? Un'aspettativa? Anche questo aspetto influenza la relazione col bambino. "Il nome di un'attrice - precisa Novara - potrebbe significare un'aspettativa analoga nei confronti della creatura. Altrettanto uno naturalistico. Un nome a sfondo politico (come potrebbe essere oggi Silvio e, a suo tempo, esser stato Benito) segna invece una precisa intenzione di 'indirizzamento' da parte della famiglia. Il nome è la prima traccia che intenzionalmente i genitori lasciano sulla discendenza. Per questo il momento della scelta è così importante".

"Siamo abituati a dire 'io mi chiamo...' - conclude lo psicologo Maurizio Brasini - ma in realtà sono gli altri a chiamarci: qualcuno (in genere i nostri genitori) sceglie un nome per noi alla nascita, e noi impariamo a identificarci con quello. Per completare il quadro, c'è da notare che i nomi hanno sempre un significato, non soltanto in senso etimologico, ma perché ognuno porta con sé una storia con un'origine e, verosimilmente, un destino. Il nome è un po' come l'incipit del romanzo che narra la nostra storia. Ma è impossibile prevedere in che modo ciascuno di noi farà i conti con esso. Mi piace immaginare che ognuno sia come i gatti delle poesie di T.S. Eliot che hanno tre nomi: il primo è quello assegnato loro dai loro padroni, il secondo quello con cui sono conosciuti nella comunità dei gatti e il terzo è il loro vero nome, radice della loro essenza felina. Arrivare a conoscere quest'ultimo è il lavoro di tutta una vita".
29 marzo 2012 - Articolo di Sara Ficocelli
tratto da Repubblica.it

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