La Pasqua nella letteratura

L'imminenza delle ricorrenze pasquali si collega perfettamente al discorso che stiamo facendo da un po' di tempo in qua sulla metafora del cammino.

Pasqua è termine ebraico (pesah), che significa "passaggio": come tutti sanno, originariamente designava il passaggio del Mar Rosso da parte degli Ebrei, argomento trattato nel libro della Bibbia chiamato "Esodo" (dal greco exodos cioè "uscita", con riferimento all'uscita dall'Egitto, la fine della schiavitù o, meglio, della "cattività", termine questo che rinvia al latino "captivitas" e cioè "prigionia": come si vede, le lingue trapassano l'una nell'altra in una catena infinita di parole!).

In greco pascha è attestato per la prima volta nei Settanta, cioè nella più autorevole traduzione greca antica della Bibbia, e si ritrova in tutti e quattro i Vangeli (si veda in particolare, Luca, 22, 14-16: e quando giunse l'ora, si assise con gli Apostoli e disse loro: "Ho desiderato grandemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire; vi dico infatti che non la mangerò più, finché essa non sia compiuta nel Regno di Dio): è lì che ovviamente il termine acquista l'odierna, significazione cristiana.

Nel linguaggio popolare, poi, Pasqua è diventata sinonimo di "gioia, festa grande": contento come una pasqua. Ma esiste anche l'espressione mala pasqua, nel senso di "mala sorte, sventura": nell' opera lirica Cavalleria Rusticana Santuzza augura appunto la mala pasqua all'infedele Turiddu.

Il 9 aprile 1982, un autore ben più noto come scrittore che come poeta (ma le sue poesie sono anch'esse notevoli e sono state pubblicate da Garzanti col titolo "Ad ora incerta") Primo Levi scriveva la sua Pasqua: ne copio alcuni versi, è il mio modo di augurare a tutti voi Buona Pasqua:
Ditemi: in cosa differisce/ questa sera dalle altre sere?/ In cosa, ditemi, differisce/ questa pasqua dalle altre pasque?/ Accendi il lume, spalanca la porta/ che il pellegrino possa entrare,/gentile o ebreo:/ sotto i cenci si cela forse il profeta.

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