Mitologia Romana - Divinità Romane

Oltre ad avere molte divinità in comune con i Greci, gli antichi Romani ne avevano un bel numero di "esclusive", che i Greci non conoscevano.

Il mondo della natura e dell'agricoltura, per esempio, aveva a Roma più di una divinità protettrice, perché gli antichi, per loro fortuna!, vivevano in contatto con una natura molto più incontaminata e intensa di quella che abbiamo noi ora, e inoltre con i prodotti della terra ci vivevano: era quindi molto importante per loro stabilire un rapporto amichevole con il mondo che li circondava, e cercavano di ottenerlo venerando le varie personificazioni degli elementi naturali.

La dea dei fiori e dei giardini si chiamava Flora: era la divinità dell'eterna giovinezza, madre della Primavera, e si aggirava per il suo impero dei fiori ricoperta di colorate e profumate ghirlande; c'era poi Maia (o Maiesta), la sposa di Vulcano, che aveva il compito di annunciare l'arrivo della primavera: dal suo nome deriva quello del nostro mese di maggio (in latino maius). Ma la natura non faceva vedere solo il suo volto amichevole: gli aspetti più inquietanti erano rappresentati da Fauno (o Fatuo), che proteggeva i campi e le foreste, l'agricoltura e la pastorizia, ma di notte spaventava gli uomini mandando loro terribili incubi. Sua figlia, Bona Dea, propiziava la fertilità ma anche la castità: la leggenda narra che dovette difendere la sua verginità dalle insidie del padre; era anche invocata perché si diceva favorisse la guarigione in caso di malattia. Qualche spavento lo faceva prendere agli uomini, ma ancor più alle donne e ai bambini, anche Silvano: viveva nel bosco (che in latino si chiamava silva) e proteggeva foreste e greggi, ma si divertiva a tendere tranelli ai viandanti mettendo loro paura... in fondo però Silvano era un dio benevolo, un buontempone!

C'erano poi divinità più "impegnative", legate ad aspetti importanti della vita umana, a valori e sentimenti. C'era per esempio Fortuna, dea del caso e della felicità, che si aggirava con in mano il corno dell'abbondanza e camminava sempre rigorosamente con gli occhi bendati... proprio la dea bendata, insomma. C'era Concordia, la dea dell'unione (le fu dedicato un tempio nel 367 a.C. quando finalmente finì l'annosa lite tra patrizi e plebei), e c'era Discordia, la dea del disaccordo (che faceva parte dell'agguerrito seguito di Marte). C'era Libertà, che era la rappresentazione dapprima della libertà personale di ogni uomo, e in tempi più tardi della libertà civile che la Repubblica Romana assicurava ai cittadini: anche lei era una tipa bella decisa, e non le mancavano mai una corona d'alloro in testa e una lancia in mano. C'era Fede, la dea della buona fede, che proteggeva i trattati che Roma stipulava con gli alleati e con i sudditi. E non poteva mancare, in un popolo così orgoglioso di sé com'erano i Romani, la dea Vittoria; anche in Grecia esisteva una dea analoga, che si chiamava Nike (o Niche): ma per i Greci era una personalità minore, mentre i Romani (e in particolar modo i generali quando tornavano vittoriosi da una guerra), di spirito decisamente più bellicoso, trattavano Vittoria come una vera star!

Molto molto antiche e molto care ai Romani erano poi due divinità legate alla casa e alla famiglia. Il dio Giano proteggeva le porte e le finestre (e quindi la casa; in latino ianua vuol dire porta) e aveva il compito di aprire al mattino e chiudere alla sera le porte del cielo; veniva immaginato con due facce, simbolo dell'entrata e dell'uscita, dell'inizio e della fine. Nel suo tempio passavano, per avere protezione, gli eserciti che si avviavano alla guerra, e il tempio in tempo di pace restava chiuso: anche questa duplicità di valore (pace o guerra) fece sì che si guadagnasse il soprannome di Giano Bifronte, "dalla doppia faccia"; a lui è dedicato il nostro mese di gennaio (in latino januarius). Molto amata dai Romani era anche Vesta, protettrice del focolare domestico e del fuoco in generale; era una figura alta e severa, con il velo e con abiti lunghi. Fin da tempi lontanissimi le era dedicato un fuoco perenne, che doveva rimanere sempre acceso in suo onore: questo fuoco era sorvegliato dalle Vestali, sacerdotesse che avevano il compito di controllare che la fiamma non si spegnesse mai (sarebbe stato di triste auspicio) e di pregare intorno al fuoco. Erano fanciulle giovani, spesso nobili e molto stimate in società, e conducevano una vita molto austera in assoluta castità.

E proprio una di queste fanciulle è coinvolta nell'avvincente storia della leggendaria fondazione della città di Roma: si tratta di Rea Silvia, figlia del re di Alba Longa Numitore. Lo zio della fanciulla, Amulio, detronizzò il fratello e uccise i suoi figli: restava solo Silvia, e lo zio, per evitare di avere in seguito problemi con eventuali discendenti che avrebbero reclamato il trono, la obbligò a diventare Vestale così che fosse per sempre vergine e non potesse avere figli. Ma lo scaltro Amulio aveva fatto i conti senza l'oste: il dio Marte non si preoccupò affatto di violare le regole, e rese Silvia madre di due gemelli, Romolo e Remo. Amulio li gettò nel Tevere, ma i due piccini furono trovati da una lupa, che salvò loro la vita e li allattò; in seguito furono adottati da un pastore, Faustolo, e da sua moglie Acca Larenzia. Crescendo i due gemelli presero coscienza delle loro origini, e tornarono ad Alba Longa uccidendo Amulio e restituendo il trono a Numitore; quest'ultimo, riconoscente, diede loro il permesso di fondare una nuova città nella zona: ma i due cominciarono a litigare perché non erano d'accordo sul luogo più adatto per la fondazione della città. Remo, in un momento di rabbia, calpestò i solchi che il fratello aveva tracciato, e Romolo lo uccise. Fu quindi Romolo l'unico fondatore dell'Urbe: aprì a tutti le porte della città per popolarla, ma dopo qualche tempo si rese conto che la cittadinanza era formata solo da uomini! Inventò dunque uno stratagemma; furono invitati i membri di una vicina colonia, i Sabini, e furono rapite le loro donne: ecco il ratto delle Sabine. L'operazione ebbe successo, si formarono famiglie e la città iniziò il suo sviluppo; fu fatta pace anche con i Sabini, grazie all'idea di proporre al loro re di regnare insieme a Romolo sulla nuova città. Quando Romolo morì, fu rapito da Marte e portato in cielo: da allora venne venerato come un dio con il nome di Quirino. Così Roma fu fondata e... il resto è storia!

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