Poteri limitati sul nome scelto dal genitore per il neonato
Avevamo avuto, tanti anni fa, il periodo delle "Sue Ellen" e "Pamela",
influenzati da uno dei primi teleromanzi "Dallas", forse qualcuno lo
ricorderà ancora; poi era stata la volta di "Andrea" imposto alle
femmine, seguendo la storia di "Andrea Celeste", una telenovela quasi
infinita; poi, ancora, era toccato al nome "Asia" colpiti dalla figlia
di un regista che con i suoi film ci aveva procurato qualche spavento:
ma nessuno pensava che le cronache di quest'estate 2002, oltre che i
capricci del clima, avrebbero dovuto occuparsi di "Un uomo chiamato
cavallo" e non certo in omaggio al famoso film con gli indiani!
La
vicenda è ormai nota: un pescatore di un paesino della Campania,
appassionato d'ippica e tifoso dello splendido purosangue "Varenne",
trionfatore in tutto il mondo, dovendo denunciare la nascita del figlio
maschio, decide di attribuirgli lo stesso nome del cavallo seguito dal
nome del fantino che l'ha condotto alle vittorie, facendolo iscrivere
sul registro degli atti di nascita come "Varenne Gianpaolo".
La madre
del neonato, ritenendo quel nome offensivo, o comunque ridicolo e
vergognoso, decide di ricorrere al Tribunale affinché rettifichi l'atto
di nascita con l'attribuzione di un nome degno di un essere umano.
Sulla
scelta del nome e sulla fantasia dei genitori nell'esercitarla potremmo
portare, come ufficiali di stato civile, una casistica pressoché
infinita, tanto da poter dire che, probabilmente, il caso agli onori
della cronaca, non rientra sicuramente tra quelli più eclatanti né,
forse, tra quelli più critici: quante volte, sentendo il nome scelto,
verrebbe la tentazione di dire al genitore "ma si rende conto che con
tale nome questa persona verrà chiamata, che diventerà il suo elemento
identificativo?".
Tuttavia, non vogliano abbandonarci a digressioni
sociologiche o psicologiche, ne entrare nel merito della disputa
familiare né, tantomeno, cercare di anticipare le decisioni del
Tribunale ma, semplicemente, ricordare la normativa applicabile al caso
concreto e verificare la procedura da seguire in casi analoghi. I limiti
nella scelta del nome sono quelli previsti dall'art. 34, primo comma,
del D.P.R. 396/2000: è vietato imporre lo stesso nome del padre vivente,
di un fratello o sorella viventi, un cognome come nome, nomi ridicoli o
vergognosi.
Dunque, per il caso Varenne, si poteva discutere sul fatto
che trattandosi del nome di un animale - anche se prestigioso e
plurivittorioso - poteva sembrare ridicolo o vergognoso, ma anche questo
sarebbe stato tutto da dimostrare: prima di tutto perché, da ricerche
effettuate dal collega di Boscoreale, Varenne è anche una cittadina
francese ed il cognome di un rivoluzionario francese seguace di
Robespierre (e se fosse il cavallo ad aver preso le generalità del
personaggio?), in secondo luogo perché non vi sono elementi oggettivi
certi per stabilire che "Varenne Gianpaolo" sia un nome ridicolo o
vergognoso (credo che, nell'esperienza di tutti gli ufficiali di stato
civile, ne siano capitati sicuramente di peggiori).
Ma, ammesso e non
concesso che con il nome scelto dal genitore ci si trovi in presenza di
una delle fattispecie vietate, che cosa può fare l'ufficiale di stato
civile prima della formazione dell'atto? In realtà, ben poco, secondo
quando previsto dal 4º comma del citato art. 34: l'ufficiale dello stato
civile dovrà avvisare il genitore dell'esistenza del divieto, ma dovrà,
infine, ricevere la dichiarazione e formare l'atto di nascita, di
fronte al persistere dell'intenzione del dichiarante. Subito dopo, lo
avviserà di essere tenuto ad informare della vicenda il Procuratore
della Repubblica perché promuova il giudizio di rettificazione. Non è
prevista nessuna possibilità di rifiuto né di contenzioso da parte
dell'ufficiale di stato civile di fronte all'insistenza del genitore che
"vuole" attribuire quel determinato nome: infine, il dichiarante
otterrà di imporre il nome voluto.
La violazione del divieto di cui al
primo comma sarà poi rimessa alla valutazione del Procuratore della
Repubblica: questi dovrà stabilire se vi sono gli estremi per promuovere
il giudizio di rettificazione presso il Tribunale, secondo la procedura
prevista dall'art. 95 dello stesso DPR 396/2000.
E' appena il caso di
ricordare che questa procedura è una scelta legislativa recente e si
tratta di una procedura esattamente opposta a quella prevista
dall'abrogato art. 72 del R.D. 1238/1939, in vigore fino al 30 marzo
2001: in caso di contrasto sul nome, era l'ufficiale dello stato civile
che lo imponeva, lasciando al dichiarante solamente la possibilità di
impugnare il provvedimento con ricorso in Tribunale.
L'impressione è che
il legislatore abbia volutamente dato un indirizzo opposto a quello
precedente: da una normativa rigida nella quale l'ufficiale dello stato
civile vigilava e, in caso di necessità, si sostituiva al dichiarante
anche contro la sua volontà, si è passati ad una normativa che prevede
limitate funzioni di controllo da parte dello stesso ufficiale dello
stato civile, tanto che non può più violare direttamente la scelta del
genitore relativa al nome.
Una volta formato l'atto di nascita,
sottoscritto dal dichiarante e dall'ufficiale dello stato civile, per
modificare il nome restano solamente due possibilità: ricorso al
Tribunale perché provveda alla rettificazione ai sensi dell'art. 95
D.P.R. 396/2000 (qualora vi siano i presupposti: è questa la strada
percorsa dalla madre del neonato Varenne Gianpaolo) o istanza di
cambiamento di nome rivolta alla competente Prefettura ai sensi
dell'art. 89 del D.P.R. 396/2000.
In conclusione, l'ufficiale di stato
civile non ha possibilità di contrastare il genitore che decide di
attribuire un nome, qualunque esso sia: questo indirizzo legislativo,
sin dall'inizio, aveva sollevato qualche perplessità ed attirato diverse
critiche, quasi preannunciando casi come quello di Varenne Gianpaolo.
Tuttavia, non crediamo che possa aversi un ripensamento rispetto alla
normativa vigente.
30 agosto 2002
-
Renzo Calvigioni
Articolo tratto da ITALIA OGGI
del 30/08/2002
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