Quando li chiamavano Rivo, Luzio, Nario

Sì, nell'Emilia-Romagna che fu c'era anche chi appiccicava ai figli le passioni ideologiche. Così fiorirono i nomi più strani, magari assegnati "a puntate" ai fratelli. Per non parlare di chi sbagliava a leggere di Jenner Meletti

Quando il cielo nero di temporale annunciava la grandine o l'afta epizootica minacciava le stalle, anche nella Bassa modenese, dove chi passava davanti a una chiesa diceva: "Ci verrebbero dieci appartamenti", si cercava l'ulivo benedetto e si invocavano i Santi. Ma i protettori chiamati nel momento del pericolo, venivano dimenticati quando si doveva decidere come chiamare un nuovo nato. Pietro, Luigi, Giovanni ereditavano i nomi non da chi aveva ricevuto l'onore degli altari ma da nonni e zii defunti o ancora arzilli.

Per gli altri, invece, un fritto misto di nomi che rimbalzavano dalle cronache dell'800, dalla politica, dalla lirica, o semplicemente da un nome (o cognome) letto su un giornale. Tutti, ovviamente, "esentati" dall'onomastico, che già da queste parti non è mai stato particolarmente sentito.

Il primo giorno di scuola non era male. C'era Jaurès (pronunciato come scritto, Iiàures, e non alla francese, nazionalità di Auguste Jean Jaurès, fondatore dell'Humanitè) e c'era Wagner, pronunciato come scritto, mentre nel paese vicino c'era un Wagner che si pronunciava Wagner, ed era tutta un'altra cosa. Grandi soddisfazioni, per chi aveva nomi strani. Era la maestra, dietro la cattedra, a chiedere: "Come si scrive?".

Erano gli ultimi fuochi, nelle campagne modenesi e reggiane che scendevano verso il Po. L'ultima esplosione c'era stata con la guerra partigiana, quando i giovani in armi dovevano cambiare nome, e si inventarono Diavolo, Smith (dalla Smith & Wesson), Annibale. Quando scelsero i nomi per i loro figli, cercarono di essere almeno creativi. Ma stavano già finendo i tempi in cui i nomi erano un timbro indelebile, come il marchio per i cavalli, che si poteva soltanto mascherare: si faceva chiamare Ida, la signora Idea Socialista Beneduce, moglie di Enrico Cuccia.

I nomi-bandiera avevano investito l'Emilia, e soprattutto la Romagna, già a cavallo fra l'800 e il 900. "Erano nomi che esplodevano come una fucilata", ha scritto Tino Della Valle, giornalista e dirigente industriale, nel 1980 autore di I nomi dei romagnoli. "Dove sono finiti Ordigno, Anticlera Risveglio. Ribelle, Utopia? Ormai è più facile vederli sui manifesti funebri che nei registri dei nati allo stato civile". Un tempo, bastava conoscere i nomi dei figli per battezzare le idee politiche dei padri. Libertario, Volgo, Ateo, Negadio. Vendetta, Satana, Adulto, Dinamitarda. Lavoro erano i bimbi e le bimbe degli anarchici. C'era chi con la prole programmava un manifesto: ecco i fratelli Rivo, Luzio e Nario, che forse si sono incontrati con Folla, Unita, Vittoria. Il papà delle ragazze aveva programmato anche Certa, ma questa non è mai arrivata, forse per paura del nome che l'aspettava.

Marxino, Engles (da Engels), Aurora, Oriente. Avanti erano invece figli dei socialisti, con una tripletta di maschi chiamati Sole, Dello e Avvenire. Quando l'anagrafe fascista proibì l'uso di nomi barricaderi, ecco nascere Memore, Fedele, Solidea, per far sapere che le idee dei padri non erano cambiate. Per i nomi cattolici, il fascismo non pose problemi. Continuarono ad essere battezzati Redento, Benigno, Sperindio, Provvidenza.

Qualche incidente solo con il calendario, letto male o troppo in fretta. Purif fu chiamata una bambina nata nel giorno della "Purif. di Maria Vergine", e Piovì un piccolino venuto alla luce nel giorno dedicato a San Pio VI. Poca fantasia nei nomi scelti da genitori fascisti nel ventennio: Addis (senza Abeba), Labaro, Balilla, Adua. Vittorio e Veneto.

Nomi ideologici fascisti e comunisti
Un comizio fascista a Reggio Emilia nel 1938

Finita la guerra, tutto è tornato (quasi) alla normalità. Certo, i fratelli Benito e Adolfo di Modena, hanno registrato qualche difficoltà, soprattutto quando dovevano presentarsi assieme. Nome pesante, quello del Duce, anche se portato singolarmente. "Sono diventato segretario di sezione del Pci", ha raccontato Benito S. di Reggio Emilia "e nessuno aveva fatto caso al mio nome, fino a quando non si è saputo, durante la nuova inchiesta per l'omicidio di don Pessina, che mio fratello della Rsi era stato ammazzato dai partigiani dopo la guerra. "Benito, ma davvero ti chiami Benito?", mi chiesero in sezione. Io mi presentavo sempre con il cognome".

Con la Repubblica, torna la libertà anche all'anagrafe. E qualcuno ritorna ai nomi che sono un manifesto elettorale. Uliano e Uliana (per ricordare Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin), e Iuri o Yuri quando lo Sputnik di Yuri Gagarin sale in orbita. Pravda e Rude Pravo, per i figli di un usciere comunale di Forti. A Vaccolino di Ferrara c'è un Iseppe Nalin perché l'impiegato dell'anagrafe non vuole registrare un nuovo Giuseppe Stalin.

Ultimi fuochi, si diceva. Nulla al confronto di nomi e "serie" che da soli erano romanzi. Il cacciatore che chiamava i figli Breda e Flobert, il farmacista che sceglieva Radio e Ulna. Il chimico che chiama la figlia Formaldeide. Deva, figlia di una pia donna che ascoltava le prediche del parroco su "Adamo ed Eva". In anni senza pillola, c'era chi chiamava Ultimo il settimo figlio, poi ne arrivava un altro e si ricominciava: Daccapo.

A volte i genitori sembrano crudeli. Tre sorelle per una vita sono state chiamate Una, Noce, Moscata. Ma il nome più perfido è stato scritto in dialetto, secondo alcuni nell'Appennino modenese, secondo altri nel Ravennate. Antevleva, vale a dire An te vleva, non ti volevo. Ma almeno c'era un grido, dentro il nome. C'era la rabbia. Poi arrivarono i nomi della tv...

JENNER MELETTI
L'autore di questo articolo, carpigiano,
si chiama così in onore dell'inglese Edward Jenner
(1749-1823), inventore del vaccino contro il vaiolo.


Articolo tratto da Il Venerdì di Repubblica del 01/11/2002

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