Nomi nella letteratura del '900

Abbiamo finora parlato dei nomi nelle letterature classiche: passiamo momentaneamente ad altro, a dare uno sguardo a tempi decisamene più vicini a noi.

Una delle più belle (ed importanti) poesie di Guido Gozzano (contenuta ne "I colloqui" del 1911) ha l'intrigante titolo di "Totò Merumeni": è il nome del protagonista, il prototipo dell'antieroe novecentesco (è il vero figlio del tempo nostro, v. 20), ma tale nome rimanda ad una commedia di Terenzio dal quasi impronunciabile nome: Heautontimorùmenos, un grecismo che significa "Il punitore di se stesso". E' evidente che il titolo (col gioco del diminutivo ridicolizzante "Totò": non a caso un nome che verrà usato da tale Antonio de Curtis!!) contiene una precisa indicazione di lettura della lirica.

Citando l'antieroe novecentesco, viene spontaneo il riferimento a Italo Svevo (pseudonimo del triestino Ettore Schmitz, impiegato per segnalare quanto egli si sentisse allo stesso tempo "italiano" e "svevo" cioè "tedesco") ed al suo capolavoro, "La coscienza di Zeno": il protagonista ha l'eloquente nome di Zeno (si cambi la n in r e si capirà l'allusione: un espediente utilizzato, mi pare, anche da un cantante di oggi, ormai un po' attempatello!) Cosini (diminutivo da "cosa"): più chiaro di così!

Il grandissimo Luigi Pirandello nel 1932 scrive un bellissimo dramma per Marta Abba: il titolo è "Trovarsi", parla di un'attrice che ha recitato a teatro talmente tante parti da non saper più chi lei sia davvero! E quale potrebbe essere il suo nome se non Donata, ovviamente al pubblico, agli autori delle opere che rappresenta, a tutti, tranne che a se stessa ?

Restando al teatro, uno dei testi più significativi del Novecento è senza dubbio "Aspettando Godot" di Samuel Beckett: chi è costui, la cui attesa è spasmodica e la cui assenza è costante? Il nome deriverà da "God" (in inglese "Dio") più la terminazione -ot , che rammenta Pierrot e che ha valore di un diminutivo? Un dio che già nel nome ha perso tutto ciò che la tradizione gli aveva attribuito? Un "deuccio" da strapazzo, che non si manifesta?

Gli autori spesso si divertono a giocare coi nomi, ma danno anche indicazioni importanti che dovrebbe essere compito dei critici esplicitare: ne "Il nome della rosa" Eco chiama il tremendo monaco, autore di tutti (o quasi) i crimini ed implacabile custode della tradizione più austera ed avversa a qualunque componente ludica nella cultura, Jorge da Burgos: il riferimento è a Jorge Luis Borges, immenso poeta del Novecento, tra l'altro cieco come il personaggio di Eco.

Chiudiamo con la citazione di un bel romanzo di Max Frisch, Homo Faber, del 1957: il protagonista, che narra in prima persona, è Walter Faber: il cognome, come più scopertamente il titolo dell'opera, rimanda al convincimento, un tantinello presuntuoso, del vecchio adagio latino che la tradizione attribuisce ad Appio Claudio il Cieco, che "ciascuno è fabbro (cioè, artefice) della propria sorte": esattamente l'opposto capiterà al protagonista dell'opera (che ha qualche debito anche con l'Edipo Re di Sofocle!).

Un'ultima considerazione. Abbiamo parlato di Novecento e abbiamo doverosamente citato Terenzio, Appio Claudio e Sofocle: il presente rimanda al passato, i contemporanei rimandano ai classici: forse è ciò che dovrebbe rammentare anche chi si occupa di scuola a livello politico, prima di metter mano ad incaute riforme che vogliano appiattire tutto lo studio sull'oggi, o, per dirla in latino, sull' hic et nunc!!

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