Mitologia Greca - Storie d'amore

I nomi che vengono dalla mitologia greca spesso portano con sé storie piene di sentimento e di furibonde passioni. Non sempre però le passioni umane e divine conducono a risultati felici... e così alcune storie che i nomi raccontano sono drammatiche, intense e tragiche, se non addirittura raccapriccianti.

Prendiamo l'esempio di Altea, regina della Calidonia: quando partorì il figlio Meleagro, seppe dalle Moire che questo sarebbe sopravvissuto tanto a lungo quanto il tizzone che in quel momento stava bruciando nel focolare; Altea naturalmente si affrettò a levare il pezzo di legno dal fuoco, e lo nascose accuratamente. Anni dopo, Meleagro si trovò a dover combattere contro un cinghiale gigantesco che stava devastando la regione, e chiamò in aiuto tutti i campioni greci della caccia, compresi i fratelli della madre. Quando il cinghiale fu abbattuto, Meleagro pretese di tenersi la preziosa pelliccia dell'animale, per farne dono alla fanciulla amata; questo non piacque ai suoi zii, e ne nacque un violento litigio durante il quale Meleagro uccise i due parenti. Altea, accecata dalla furia e dal desiderio di vendetta, andò a riprendere il tizzone fino ad allora nascosto e lo gettò nel fuoco: il tempo di consumarsi, e Meleagro era morto; anche Altea, distrutta, si tolse la vita.

Le stesse Moire, le dee che governavano il destino degli uomini, non erano affatto personaggi tranquillizzanti: custodivano la sorte di ogni uomo e anche la durata della sua vita; Cloto tesseva il filo della vita, Lachesi assegnava la sorte e infine Atropo determinava la lunghezza del filo; ed erano addirittura più potenti degli dei dell'Olimpo, tanto che la loro decisione, una volta presa, era irrevocabile; sono il simbolo del destino, che una volta segnato non è modificabile.

Un destino sicuramente crudele fu quello che toccò a Orfeo: era un poeta e un musicista, suonava la lira e la cetra come nessun altro, e il suo canto aveva poteri magici; gli animali feroci lo seguivano mansueti, gli alberi si piegavano verso di lui per sentire più da vicino le sue note, i suoi versi potevano commuovere anche i più duri di cuore. La sua sventura cominciò con la morte della moglie Euridice, che calpestò un serpente velenoso e finì nel regno dei morti. Orfeo non si rassegnò, e decise di fare ogni possibile tentativo per riportarla al mondo dei vivi: scese agli Inferi e suonando la lira riuscì a farsi amici il temibile traghettatore Caronte e il mostruoso cane guardiano Cerbero; grazie alla potenza della sua arte e alla forza del suo amore disperato, riuscì persino a convincere Ade, il signore delle Tenebre, a far tornare Euridice tra i vivi, ma a una condizione: Orfeo avrebbe preceduto la donna nel cammino verso la luce e non si sarebbe mai girato a guardarla fino a quando non fossero arrivati sulla terra. Ma Orfeo non ci riuscì, era troppo preoccupato per quello che poteva succedere alle sue spalle, e si voltò per assicurarsi che Euridice lo seguisse: così la perse per sempre.

Altra storia d'amore dall'epilogo infelice è quella di Leandro, un giovane che viveva ad Abido, una città sull'Ellesponto, un lungo e stretto braccio di mare (che oggi si chiama Stretto dei Dardanelli); Leandro si innamorò di Ero, che viveva a Sesto, una città dall'altra parte dell'Ellesponto, proprio di fronte ad Abido. Ero era bellissima, ma era una sacerdotessa di Afrodite e aveva dedicato alla dea la sua vita: così l'amore fra Leandro ed Ero poteva solo essere clandestino, e il giovane ogni notte nuotava fino all'altra riva dell'Ellesponto per incontrare la sua amata, che lo aspettava tenendo acceso un lume alla finestra della torre, per aiutarlo a orientarsi. Una notte il vento spense la luce e Leandro, senza più punti di riferimento, trovò la morte tra i flutti; il giorno dopo Ero vide dalla finestra il cadavere e, disperata, si gettò dalla torre.

Inizia invece con un bel matrimonio regolare la macabra storia di Procne e Filomela, figlie del re d'Atene: Procne fu data in moglie a Tereo, figlio (non per caso) del tremendo Ares; i due ebbero un figlio di nome Iti. Un bel giorno Filomela fece visita alla sorella  e Tereo la violentò: quando lei minacciò di riferire tutto a Procne, l'uomo le tagliò la lingua. Ma Filomela non accettò la condanna al silenzio: decise di tessere un abito che rappresentava il fattaccio, e lo mostrò a Procne. La vendetta delle due sorelle fu terribile: uccisero Iti, lo cucinarono e lo servirono a Tereo come pranzo; quando l'uomo capì cosa aveva mangiato, Procne e Filomela fuggirono chiedendo aiuto agli dei; e prima che il bruto potesse raggiungerle, gli dei le trasformarono in uccelli, consentendo loro di volare via e di salvarsi la vita. E fu così che Procne divenne un usignolo e Filomela una rondine.

E per concludere, dopo tutte queste tragedie, ecco una storia un po' tormentata ma con un lieto fine: parliamo di Arianna, la figlia di Minosse, re di Creta. Sull'isola c'era un mostro tremendo, il Minotauro, con il corpo di un uomo e la testa di un toro; viveva rinchiuso in un labirinto, e ogni anno la città di Atene mandava come tributo a Minosse sette fanciulli e sette fanciulle da dare in pasto al terribile essere. Ma un anno arrivò Teseo, il figlio del re di Atene, con l'intenzione di affrontare il Minotauro: Arianna si innamorò del giovane, e decise di aiutarlo nell'impresa. Gli diede un gomitolo di filo da portare con sé nel labirinto per evitare di perdersi: così Teseo uccise il mostro e seguendo il filo di Arianna ritrovò l'uscita, salvando se stesso e liberando Atene dal pesante tributo dovuto a Creta. Arianna fuggì con Teseo sulla sua nave, in direzione di Atene; ma giunti sull'isola di Nasso, Arianna si addormentò sulla riva del mare e al suo risveglio non trovò più Teseo, che era fuggito. Per la fanciulla fu un dolore insopportabile, pianse e gli scrisse una lettera straziante, lamentando la sua perfidia e la sua irriconoscenza: "Guardami bene anche ora, non con gli occhi, ma con l'immaginazione, con cui puoi, mentre me ne sto attaccata ad uno scoglio, battuto dal moto delle onde; guarda i capelli sciolti, segno di dolore, e la tunica appesantita dalle lacrime, come da pioggia! Il mio corpo trema, come le spighe battute dai venti del nord, ed i caratteri, tracciati dalla mia mano tremante, sono incerti. Io non ti supplico in nome dei miei benefici, perché hanno ottenuto un cattivo risultato; nessuna gratitudine mi sia dovuta per il mio operato, ma neppure una punizione. Se non sono io la causa della tua salvezza, non c'è tuttavia ragione perché tu sia per me causa di morte". Fortunatamente il lieto fine arrivò nella persona di Dioniso, dio del vino e della fertilità, che incontrò sull'isola la piangente Arianna, se ne innamorò, la sposò e la condusse sull'Olimpo donandole l'immortalità.

NEWSLETTER
SONDAGGIO